Bene merentibus: Prof.ssa Antonella Carbonaro, finalista nella categoria Women in ICT Careers dell'European Digital Skills Awards 2025
Leggi intervista alla Prof.ssa Antonella Carbonaro: Ragazze Digitali, un modello per colmare il divario di genere nelle tecnologie
Pubblicato: 10 novembre 2025 | Innovazione e ricerca
Sentimento di gratitudine verso chi ha fornito un servizio o ha generato un beneficio in favore della collettività. Innovazioni per un mondo più inclusivo, aperto, accessibile. Un debito di riconoscenza può essere sussunto in termini di una massima più generale secondo la quale il merito deve essere ricompensato. E a volte questo avviene tramite premi e riconoscimenti.
L'articolo è di Francesca Montuschi, del Settore della comunicazione e informazione del dipartimento.
Superare il Gender Gap nei settori ICT non costituisce esclusivamente una questione di pari opportunità, una visione di fondo di un futuro più equo e giusto, ma ha assunto una rilevanza strategica sotto il profilo dello sviluppo socioeconomico. In altre parole, diventa una necessità di vita, per garantire l’accesso ai servizi digitali, e di mercato. A fronte di una domanda crescente di competenze tecnico-scientifiche e di una carenza annua di profili qualificati, appare imprescindibile implementare politiche volte a promuovere l’inclusione e l’accesso paritario, e soprattutto scelte libere, scevre da pregiudizi. Per fare alcuni esempi, in Europa solo il 10% dei developer di app e l’11% dei professionisti nel settore gaming sono donne. In Italia, pur costituendo il 49% della forza lavoro, le donne occupano solo il 30% delle posizioni nel settore ICT. Così come è ancora relativamente bassa la percentuale di laureate in informatica.
Le cause del divario di genere sono molteplici e includono, tra le altre, stereotipi relati al settore ICT, spesso percepito e rappresentato come noioso, ripetitivo, solitario e maschile. Un altro problema è rappresentato dalla scarsa diffusione delle discipline informatiche nelle scuole primarie e secondarie italiane: solo poche di esse includono l’insegnamento dell’informatica nei loro programmi, e spesso si tratta di scuole frequentate prevalentemente da studenti maschi. Un dato che evidenzia quanto l’imperativo della Comunità europea di raggiungere, entro il 2030, l’80% di alfabetizzazione digitale sia ancora piuttosto lontano. In Italia siamo al 46%, con un tasso di analfabetismo funzionale piuttosto elevato. In ottica di genere, studi dell’OCSE affermano che la tardiva esposizione delle ragazze ai computer può essere associata a barriere non materiali nell’accesso all’apprendimento digitale riconducibili, per esempio, a stereotype threat e carenza di modelli positivi. Si tratta di ostacoli invisibili, che potrebbero essere riassunti in due espressioni metaforiche: il soffitto di cristallo e il pavimento appiccicoso.
Costruire negli istituti scolastici occasioni di esplorazione dell'informatica attraverso laboratori, progetti pratici e competizioni può aiutare a suscitare interesse e a costruire fiducia nelle giovani donne. Inoltre, programmi di mentoring e tutoraggio nei quali le studentesse hanno l'opportunità di interagire con donne in carriera tecnico-scientifica possono fornire modelli di ruoli positivi e ispirare le giovani a perseguire percorsi simili.
Questo è l’ambito all’interno del quale si colloca l'iniziativa Ragazze Digitali della professoressa Antonella Carbonaro del Dipartimento di Informatica – Scienza e Ingegneria, finalista nella categoria Women in ICT Careers dell'European Digital Skills Awards 2025.
Siete stati scelti fra 195 candidature, unico gruppo di ricerca italiano. Lei è anima di Ragazze Digitali, riconosciuto come una buona pratica per ridurre il divario di genere nelle discipline ICT. I summer camp hanno generato impatti positivi su chi ha partecipato.
L'iniziativa si è rivolta alle studentesse del terzo e quarto anno delle scuole superiori dell’Emilia-Romagna, finanziata dalla Regione e realizzata in collaborazione con Università ed Enti di formazione del territorio. Le ragazze che hanno partecipato, e quindi vissuto esperienze di programmazione e di coding, sono più propense a non precludersi gli studi nel settore. Ciò suggerisce che tutte le istituzioni dovrebbero impegnarsi a offrire il maggior numero possibile di opportunità in tal senso. Dall’altro lato, un dato meno confortante è quello relativo alla percezione che essere donna possa rappresentare un ostacolo, segno che resta ancora molto da fare su più livelli e ambiti.
Il nome Ragazze Digitali, per quanto inclusivo, presuppone una separazione di genere, già di per sé una segregazione. È prematuro pensare a una iniziativa simile che non abbia i connotati esclusivamente femminili?
Sarebbe auspicabile arrivare a un punto in cui servissero non più iniziative “per le ragazze”, ma progetti inclusivi, dove la partecipazione femminile fosse naturale e paritaria. In passato abbiamo proposto due iniziative, una delle quali non caratterizzata al femminile. In quel caso, le ragazze si sono sentite automaticamente escluse, e non si sono presentate.
Ragazze digitali rappresenta un modello potenzialmente scalabile in altre realtà. Fa premio la stretta alleanza collaborativa tra istituti scolastici, Atenei, territori. Si esplicano così il ruolo e la potenza del fare rete.
Un progetto supportato da una rete di partner consolidati gode di maggiore credibilità e facilita il coinvolgimento. La rete territoriale crea un ecosistema di supporto che può sostenere le iniziative nel tempo, anche dopo la conclusione di specifici finanziamenti, garantendo la continuità e l'integrazione con altre iniziative esistenti. Va detto che la forza di Ragazze Digitali è data dal legame costruito con le scuole, e in particolare con gli insegnanti: l'iniziativa consente non solo di esprimere la trasmissione di nozioni, ma soprattutto crea un ambiente stimolante e realizza un orientamento inclusivo, che è fonte di ispirazione per le ragazze.
Possono esistere vantaggi espliciti come conseguenza della diversità di genere nell’ICT. L'inclusione non va intesa come charity, ma come strategia. Nel comparto tech, e non solo, i gruppi di lavoro più efficaci si rivelano quelli capaci di unire prospettive diverse.
Aumentare la presenza femminile nel comparto ICT non è solo una questione sociale, o di risposta ad una domanda di mercato, ma un modo per muovere nella direzione di maggiore qualità e migliori risultati. I gruppi misti generano idee più originali, risolvono meglio i problemi e accelerano la trasformazione. La diversity eleva produttività, engagement e ritorno degli investimenti. Le donne sono una parte attiva dell’utenza: coinvolgerle nei progetti vuol dire creare soluzioni più inclusive e vicine ai bisogni reali.
Gli algoritmi di AI apprendono e si sviluppano sulla base dei dati che vengono loro forniti e, pertanto, l'output riflette errori ed imprecisioni, o pregiudizi/discriminazioni, insiti nei dati stessi. E vale anche per quelli di genere.
Si possono evidenziare discriminazione algoritmica e rischio di pregiudizi nei confronti delle donne, in ambito ICT e non solo. Gli algoritmi non sbagliano, ma ripetono pedissequamente i modelli insiti nei dati che ricevono come input. Se l’inserimento delle informazioni contiene pregiudizi o disuguaglianze di genere già presenti nella società, ecco allora che gli algoritmi di AI finiscono per replicare e amplificare disparità e preconcetti. L’AI Act prevede che i sistemi di intelligenza artificiale siano progettati e sviluppati nel pieno rispetto dei diritti fondamentali sanciti dal diritto dell’Unione europea, e include una serie di obblighi e principi che hanno lo scopo di prevenire e mitigare qualsiasi tipo di bias o discriminazione, anche quelli di genere.
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