
Natura non facit saltus: AI e Umanesimo
Leggi intervista al Prof. Marco Roccetti: il confronto sull’IA rappresenta un meta-tema, di cui non traspare una voce univoca
Pubblicato: 08 ottobre 2025 | Innovazione e ricerca
Una serie di interviste "Dialoghi sul Futuro Digitale" dedicate a spunti di riflessione e approfondimenti, a partire da convegni, seminari, progetti in ambito Terza Missione.
L'autrice di questa intervista è Francesca Montuschi, del Settore della comunicazione e informazione del dipartimento.
L’Intelligenza Artificiale e i suoi effetti dirompenti presenti-futuri sono oggetto di un dibattito scientifico che si sviluppa da parecchi anni. Secondo standard internazionali, l’IA è definita come un sistema progettato per simulare capacità umane come apprendimento, ragionamento e percezione sensoriale (ISO/IEC 22989:2022; UNESCO, 2021) e può generare previsioni, decisioni e raccomandazioni che influenzano ambienti fisici e virtuali (UE AI Act, 2021; OCSE, 2024). L’OCSE (2024) sottolinea il ruolo trasformativo dell’IA, riconoscendone i benefici, come il miglioramento dei processi decisionali e l’efficienza, ma anche i rischi, che spaziano da preoccupazioni etiche a implicazioni sociali. A questo proposito, lo standard IEEE 7010-2020 ne amplia la definizione, descrivendo l’IA come un sistema che agisce autonomamente, integrando percezione, ragionamento e azione.
Affrontare il tema dell’IA è diventato oggi un totem, un tabu nella consueta battaglia tra apocalittici e integrati, come fosse un termine ombrello che finisce per comprendere un po’ tutto, una nebulosa di concetti e idee confuse, da cui mettere da parte retoriche, alcune fantascientifiche, che rischiano di inquinare un confronto serio su opportunità e, certo rischi, annessi alla sua diffusione. Si può pensare che il confronto in atto sull’IA, in quanto concetto chiave della contemporaneità, rappresenti un vero e proprio meta-tema, cioè una riflessione che si focalizza sul tema stesso, di cui non traspare una voce univoca. Quella del prof. Marco Roccetti del Dipartimento di Informatica - Scienza e Ingegneria - espressa al seminario “IA e umanesimo”, svoltosi il 2 ottobre presso l’Accademia delle Scienze - vuole tentare di liberare il campo da incrostazioni irrealistiche, e da eccessive, seppur in parte comprensibili, preoccupazioni di una perdita di centralità da parte dell’uomo. Secondo il professore i timori, che aleggiano attorno al dibattito sull’IA, sono più o meno gli stessi che hanno accompagnato la nostra specie nel corso dei progressi della storia.
Lo sforzo degli scienziati è di mettere continuamente alla prova idee e risultati; la storia della scienza ci insegna che nessuna idea è definitiva, le ricerche via via le confermano o le innovano. E questo vale anche per l’informatica, in particolare per l’IA.
Si sentono dire un sacco di cose sull'IA; si inquadra perfettamente nella scienza moderna, fatta di combinazione di metodo deduttivo ma anche induttivo. Il progresso scientifico non fa salti natura non facit saltus, ma avanza in modo graduale e interconnesso, come si vede nel passaggio dai sistemi esperti all'IA generativa. Questa forza metodologica, basata su rigore e verifica, ha un impatto epocale: è la stessa scienza che, applicata a medicina e agricoltura negli ultimi due secoli, ha portato la popolazione terrestre da 1 miliardo a inizio '800 a oltre 8 miliardi oggi. Ogni scoperta, anche nell'IA, è un tassello di questo continuum.
A dettare il progresso sono i bisogni: cercare di trovare risposte per soddisfarli.
Come la scienza, l'IA risponde a un bisogno primario: ottenere una risposta rapida. L'Intelligenza Artificiale colma un vuoto lasciato da un web ormai saturo di pubblicità e spam, offrendo soluzioni zero-click. L'IA generativa sintetizza i contenuti di siti autorevoli in una overview trasformando quest'ultima in un contenuto autonomo. L'utente, soddisfatto, non sente più l'esigenza di visitare il sito originale. Questo mina la centralità dei contenuti SEO-oriented, che rischiano di non contribuire più alla notorietà dei siti. L'IA generativa automatizza i processi che portano a una risposta, tuttavia, il bisogno da cui tutto discende resta prerogativa umana che, insieme al consumo, è il motore di tale evoluzione.
La riserva/presidio di umanità si dice sia affidata all’inviolabile atto umano di controllo e di decisione. Rapporto tra persona ed algoritmo ed il pericolo di un automation bias: la tendenza della persona ad affidarsi acriticamente al risultato. Come prevenire o ridurre l’ancoraggio alla proposta computazionale?
Le soluzioni tecniche sono varie, ma è cruciale notare come l'intelligenza naturale sia da sempre plasmata da meccanismi simili all'intelligenza artificiale. Se riflettiamo sulle fonti che hanno generato e modellato il pensiero umano, libri, scuole, biblioteche, dobbiamo ammettere che anche queste strutture soffrono e hanno sempre sofferto degli stessi problemi oggi attribuiti all'IA. Nel loro complesso condizionano i nostri pensieri, introducendo inevitabilmente dei bias. Alcuni di questi pregiudizi sono così radicati da essere addirittura alla base di conflitti. E ancora, nessuno può negare che studiare in una scuola ispirata a determinate credenze induca profondi bias. In sostanza, il problema del condizionamento e dei bias è intrinseco a ogni sistema di apprendimento e di trasmissione della conoscenza, non solo all'AI.
Nelle distopie di alcuni, quando si parla di IA, viene prefigurato un mondo in cui gli umani perdono la loro centralità.
L'uomo manterrà sempre la sua centralità. Sia che usiamo un bastone o una chatbot, la tecnologia risponde ai nostri bisogni e decisioni, agendo sulla base della nostra volontà. Le macchine rispondono a bisogni umani mutevoli. Se ciò si traduce in comportamenti disumani, la responsabilità è solo nostra, poiché siamo noi a definire il bisogno e a esercitare il potere sull'uso della tecnologia.
La saturazione di pseudo risposte può impedirci di generare buone domande. Mentre i sistemi predittivi si affinano, la nostra capacità di porre domande, secondo alcuni, decresce. In un mondo di dati, e assetato di significato, saper distinguere tra le risposte, ma soprattutto saper porre la domanda giusta è più che un esercizio intellettuale. Secondo alcuni è un’abilità di sopravvivenza.
La saturazione di risposte mediocri ostacola la formulazione di buone domande. L’esercizio critico e la capacità di discernere tra tutte le risposte, siano esse naturali o artificiali, sono le abilità di sopravvivenza per trovare significato.