
Scopri Common Wears, un modello e un middleware per reti di wearable devices a livello di comunità
Intervista al Prof. Mirko Viroli: si apre una nuova era dei dispositivi indossabili quali abilitatori di servizi intelligenti basati sui CO-WCS (Common Wears)
Pubblicato: 01 ottobre 2025 | Innovazione e ricerca
Una serie di interviste dedicate all’innovazione tecnologica e al pensiero progettuale: esploriamo le storie dietro invenzioni e soluzioni che rispondono a sfide reali. Un’occasione per approfondire processi creativi, approcci metodologici e impatti concreti sul mercato e sulla società.
Autrice di questa intervista è Francesca Montuschi, del Settore della comunicazione e informazione del dipartimento.
Le tecnologie sono oggi in grado di aggregare dati provenienti da diverse fonti per identificare pattern e tendenze, e raggruppare persone in base ai loro comportamenti simili o a determinate caratteristiche, rendendo possibile l'analisi, la previsione e anche la generazione di scenari di coordinamento o guida di condotte di gruppo in vari contesti. Gli ambienti che viviamo e che ci circondano, infatti, es. strade, ospedali, luoghi di lavoro, stanno diventando sempre più smart e interconnessi: possono quindi essere in grado di fornire servizi di efficacia decisionale o di risoluzione di problemi di tipo collettivo.
L’adozione di una prospettiva collettiva, in qualche modo cooperativa o persino sociale, rappresenta un cambiamento paradigmatico per l’ingegneria del software. Apre molteplici opportunità, ma richiede metodologie e strumenti capaci di governare la complessità per riuscire a sfruttarne appieno il potenziale.
In questo contesto, il progetto PRIN “Common Wears”, sviluppato dal professor Mirko Viroli e dai ricercatori Danilo Pianini, Gianluca Aguzzi e Nicolas Farabegoli, del Dipartimento di Informatica- Scienza e Ingegneria, assieme ad un consorzio multidisciplinare, ha avuto l’obiettivo di studiare un modello e un middleware per reti di wearable devices a livello di comunità, ossia di gruppi di persone il cui comportamento, implicitamente o esplicitamente, può essere visto come di natura collaborativa.
Il suo gruppo di ricerca è tra i pochi in Italia e all’estero che si occupa di sistemi adattivi collettivi. Si apre una nuova era dei WCS (dispositivi indossabili) quali abilitatori di servizi intelligenti basati sui CO-WCS (Common Wears). Avete studiato casi nel settore della sanità.
“Abbiamo monitorato, attraverso sistemi indossabili personalizzati, dati biometrici di medici che operano presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma, partner del progetto. Si sono ottenuti pattern ricorrenti, di possibile utilizzo, per fare analisi retrospettive o valutazioni per miglioramenti futuri”, interviene il prof. Mirko Viroli.
Avete misurato la frequenza cardiaca, i livelli di stress e attenzione, altri parametri fisiologici rilevanti. Come i cambiamenti in un individuo si riflettono nel comportamento collettivo?
“Sì, esatto, abbiamo misurato sincronie, correlazioni. Le risposte fisiologiche individuali e collettive sono un indicatore prezioso della qualità e dell'efficacia dell'intelligenza collettiva. Specifico, tuttavia, che noi ingegneri informatici abbiamo costruito l'infrastruttura per la raccolta e anche l'analisi dei dati. Il Campus Bio-Medico ha fornito i sensori specifici. Potenzialmente è possibile stabilire se una maggiore sincronia di un certo tipo di pattern fisiologico individuale e collettivo possa essere associata a una maggiore coesione di gruppo, o a una maggiore capacità di problem solving, o ancora a processi decisionali più efficaci e mirati”.
L'implementazione di Common Wears negli ambienti sanitari reali appare delicata.
“Una delle principali preoccupazioni riguarda la gestione della privacy dei dati sensibili raccolti grazie ai sensori indossabili. Poiché i dispositivi monitorano costantemente parametri fisiologici e ambientali, è essenziale garantire che tutte le informazioni vengano trattate in conformità con le normative sulla privacy, come il GDPR in Europa, per proteggere la sicurezza dei pazienti e degli operatori sanitari. Inoltre, l'affidabilità dei sistemi è un altro aspetto cruciale. In ambienti ad alta pressione, come una sala operatoria, qualsiasi malfunzionamento dei sensori o degli algoritmi potrebbe avere conseguenze gravi. Infine, non sono trascurabili questioni legate ai diritti dei lavoratori”.
Nel secondo ambito di ricerca di Common Wears vi siete occupati della gestione delle folle. Comprenderne il comportamento è molto importante per affrontare problematiche con ricadute in ambito sociale, civico o anche più semplicemente organizzativo. Ad esempio, sulla base dei vostri dati, come dovrebbe defluire una folla di persone in una situazione di pericolo?
“Dalle simulazioni, e anche dai dati riferiti a eventi reali, appare evidente che le persone, quando avvertono una situazione di rischio, iniziano a fuggire innescando un’onda progressiva, un tipo di panico che si propaga velocemente man mano che iniziano a urlare o a correre in una certa direzione. È necessario che l’onda sia depotenziata, e per farlo servono specifiche progettuali degli spazi, ad esempio quelli di compensazione, i cosiddetti spazi calmi”.
Anche le segnaletiche sonore sono efficaci.
“Devono essere forti e si devono attivare all’istante, con indicazioni precise e contestualizzate all’evento sopravvenuto. C’è però un limite non trascurabile: la risposta umana. Una persona può infatti decidere di non adeguarsi a quanto suggerito dalla segnaletica sonora o di non restare fermo negli spazi calmi”.
Esistono CO-WCS per gli esseri umani e per i robot. Quali sono le differenze?
“A livello di infrastruttura e di modelli sono piuttosto simili, pur con alcune diversità. Se oltre a raccogliere informazioni il sistema intende impartire anche comandi o suggerimenti, l'umano - come detto – nel suo libero arbitrio, sceglie di fare o non fare una cosa. Vi sono poi comportamenti diversi a seconda della cultura di appartenenza. Per esempio, gli orientali, quando si incontrano, girano a sinistra. Gli occidentali tendono invece a girare a destra. Si tratta di elementi di cui tenere conto per ipotetici comandi guida”.
Quali sono le tecniche di allenamento (AI) che avete usato per i CO-WCS?
“Abbiamo utilizzato il reinforcement learning, una tecnica in cui un agente impara tramite tentativi ed errori in un ambiente: riceve ricompense o penalità in base alle azioni fatte; il federated learning, una tecnica di apprendimento in cui dispositivi diversi praticamente condividono tra di loro quello che hanno appreso per sintetizzare una competenza di gruppo; le reti neurali artificiali, cioè modelli ispirati al funzionamento del cervello umano, il cui addestramento è caratterizzato da dati etichettati (supervised learning); e inoltre l’AI generativa. Infine, abbiamo cominciato a studiare come farci aiutare dagli LLM (Large Language Models) per sintetizzare comportamenti collettivi nuovi. I sensori intelligenti, alimentati da algoritmi di apprendimento automatico, possono raccogliere e analizzare informazioni critiche in tempo reale, come i battiti cardiaci, la temperatura corporea, l’umidità ambientale e i movimenti del corpo, e offrire previsioni più precise sull'andamento di un intervento chirurgico”.
Il vostro è un progetto finanziato dai bandi PRIN (Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale), fondamentali per il sostegno alla ricerca di base.
“I PRIN sono programmi gestiti dal Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) che finanziano progetti di ricerca anche non immediatamente applicabili. La ricerca curiosity driven, detta anche Blue Sky Research, è cruciale per esplorare liberamente e senza vincoli. Ed è importante che i bandi PRIN abbiano una periodicità costante, perché i gruppi di ricerca possano programmare con regolarità le proprie attività di ricerca e gli eventuali sviluppi”.